Non poco scalpore ha suscitato il fatto che l'Ordine
dei giornalisti di Milano abbia emesso un provvedimento "disciplinare"
di radiazione nei confronti di Vittorio Feltri, direttore del
quotidiano "Libero" e già direttore di varie
importanti testate... Nonché giornalista non poco "scomodo"
per per la sua "ingovernabilità", che fra l'altro
lo aveva fatto passare da una direzione di giornale all'altra
ogni volta che la sua indipendenza di giudizio gli sembrasse
in qualche modo limitata, o che la linea editoriale fosse cambiata.
A seguito di questa radiazione Feltri si trova, di punto in bianco,
a non poter fare il giornalista.
Né più né meno...
Motivo ufficiale addotto dall'Ordine della Lombardia, presieduto
da Franco Abruzzo: la pubblicazione su "Libero", nel
quadro dello scandalo dei pedofili, di alcune foto "proibite"
tratte da materiale che era già stato diffuso dalla televisione
di Stato.
Solo che il responsabile di quella diffusione televisiva, Lener,
non è stato radiato, mentre Feltri sì...
Benché fosse infinitamente più grave far apparire
quel materiale alla televisione - che entra tranquillamente in
tutte le case, alla portata dei minori - che pubblicarne delle
foto su un quotidiano letto praticamente solo da adulti.
Vero che Lener è ben lontano dall'essere "scomodo"
come Feltri...
Di quì la sensazione, subito diffusasi, che quelle foto
su "Libero" c'entrino come i cavoli a merenda, e siano
state solo la sospirata occasione per colpire un giornalista
che dà "fastidio".
Evviva gli intrallazzi
Eppure dopo la dura sentenza
emessa a carico dell'Ordine dei giornalisti dalla magistratura
superiore (Corte d'Appello di Napoli e poi Corte di Cassazione)
a seguito dell'ormai celebre ricorso di Stefano Surace, sembrava
che certi personaggi fossero stati da tempo allontanati dai suoi
vertici.
Quei personaggi, per intenderci, che agivano in singolare assonanza
coi "safari al giornalista scomodo" che periodicamente
venivano lanciati da certi ambienti.
Come si ricorderà infatti l'Ordine aveva avuto la buona
idea di radiare Surace - l'intellettuale italo-francese e maestro
di arti marziali che più scomodo non si può con
quelle sue inchieste, polemiche e campagne di stampa che durano
da cinquant'anni - non solo non dandogli alcuna possibilità
di difesa ma, come risultò, senza neanche dirne le ragioni
(era difficile trovarne).
Fra l'altro quella radiazione ebbe affetti micidiali sulla libertà
di stampa in Italia: da quel momento i giornalisti italiani si
sentirono sotto la minaccia costante di essere radiati dall'Ordine
di punto in bianco, senza potersi praticamente difendere, se
andavano a ficcare il naso negli affari non troppo confessabili
di certi ambienti politici ed economici.
Se era stato possibile radiare in quel modo un tipo agguerrito
come Surace, figurarsi per gli altri...
Fu così che quella di giornalista divenne di colpo, in
Italia, la professione meno garantita del mondo. Mentre avrebbe
dovuto godere di particolari garanzie, essendo uno degli elementi
fondamentali per un corretto funzionamento delle istituzioni
democratiche.
Con una tale spada di Damocle sulla testa, i giornalisti non
trovarono di meglio che attendere tempi migliori per occuparsi
di certi argomenti... Sicché gli abusi e gli intrallazzi
di quegli ambienti, senza più un valido controllo da parte
della stampa, poterono finalmente dilagare indisturbati.
Per rendersi conto di a che punto era giunta la situazione, basti
pensare che due giudici di Treviso, Labozzetta e Napolitano,
avevano incriminato ufficialmente parecchi personaggi molto "in
alto", fra cui il comandante in capo della guardia di finanza
e il suo braccio destro, nel quadro di quello che poi divenne
il famoso "scandalo dei petroli in Italia".
Ebbene, i corrispondenti da quella città delle agenzie
e di diversi quotidiani avevano inviato regolarmente, alle loro
redazioni centrali, numerosi articoli sull'argomento. Ne avevano
inviati per un anno, ma nessuno era stato pubblicato...
Così, se l'opinione pubblica poté apprendere la
faccenda fu proprio grazie al solito Surace, che nel frattempo
si era spostato a Parigi.
Da lì in effetti accusò certi magistrati di Monza
di coprire quel traffico, dopodiché costoro (il presidente
di quel tribunale, il procuratore capo e un suo sostituto) furono
incriminati dalla stessa magistratura, e lo scandalo scoppiò
col clamore che si sa.
I "sicari
sfortunati"
Per di più, in seguito
la Corte d'Appello di Napoli (presieduta da un insigne magistrato,
Vincenzo Schiano di Colella Lavina, con relatore Carlo Aponte,
consigliere Francesco d'Alessandro; integrata - come prevede
la legge in questi casi - da due giornalisti, Lino Zaccaria e
Francesco Maria Cervelli) stabilì che la radiazione del
Surace era stata non solo errata, ma addirittura illecita (per
cui l'Ordine deve anche risarcirlo) e l'annullò d'autorità,
evocando fra l'altro "gli obiettivi altamente sociali
perseguiti dal Surace nella sua attività, le sue campagne
di stampa, i riconoscimenti ottenuti".
Inoltre, accertò che era stata decisa senza dare all'accusato
alcuna possibilità di difesa e costatò (riportiamo
testualmente dalla sentenza) "la mancanza di qualsiasi
specificazione dei fatti che si imputavano al Surace".
Surace era stato dunque radiato dall'Ordine senza che neanche
si dicesse perchè...
Questa "storica" decisione della Corte d'Appello (poi
confermata dalla Cassazione) fece sensazione nell'ambiente giornalistico
italiano ed europeo.
Il presidente dell'Ordine all'epoca, Saverio Barbati, non si
vide rinnovato l'incarico che ricopriva da anni. Surace l'aveva
poco prima esortato, in un'intervista, "a darsi alla pastorizia,
che ha molto bisogno di braccia".
I membri del Consiglio dell'Ordine che avevano deciso quella
radiazione si videro bollati sulla stampa come "sicari sfortunati",
mentre Surace veniva definito fra l'altro "un grande
eroe civile, un 'maître à penser', e 'à agir',
non violento ma micidiale quando si tratta di difendere la verità,
la giustizia e i diritti umani".
Si verificarono perfino fenomeni di rigetto come l'iniziativa,
in sede politica, di promuovere un referendum per l'abolizione
dell'Ordine, visto ormai da molti come una minaccia per la libertà
di stampa e dunque per una corretta democrazia.
E in ogni caso nella categoria dei giornalisti sorse una larga
esigenza di riforma profonda di questo organismo.
L'Associazione napoletana della stampa si congratulò con
Surace con lettera ufficiale.
Nei vertici dell'Ordine si fece una buona pulizia di quei personaggi
che ne avevano tanto malmenato l'immagine, con la loro bella
idea di andare a aprendersela con Surace...
A questo punto i giornalisti italiani - sentendosi finalmente
liberati dalla spada di Damocle della sospensione e della radiazione
dalla professione senza potersi difendere che avevano sentito
pendere costantemente sulle loro teste dopo la radiazione di
Surace - si affrettarono a recuperare normalmente la propria
funzione, così essenziale in democrazia.
"Mani pulite"
E gli effetti non tardarono
a farsi sentire.
Certi magistrati della Procura di Milano, indagando su un certo
Chiesa per una faccenda abbastanza banale di distrazione di fondi,
si trovarono davanti un uomo che, sentendosi abbandonato dagli
"amici" vuotò il sacco rivelando una serie di
intrallazzi ben più pesanti.
Quei magistrati si trovarno così in mano una serie di
quegli abusi che avevano potuto prosperare e proliferare indisturbati
grazie anche alla specie di terrorismo cui erano sentiti sottoposti
i giornalisti italiani. E si misero a indagare anche su queste
storie.
Se ciò si fosse verificato durante il precedente periodo
di bavaglio alla stampa, quei magistrati avrebbero trovato ostacoli
pressocché insormontabili alla loro azione, come accaduto
tante altre volte.
In questo nuovo clima invece gli articoli inviati sull'argomento
dai vari corrispondenti da Milano alle loro sedi centrali furono
pubblicati, e come.
L'intera stampa italiana, ben lieta di rifarsi degli anni di
bavaglio, si occupò massicciamente dell'azione di quei
magistrati, che battezzò "operazionbe mani pulite"
contro "Tangentopoli" trascinando il pubblico che si
schierò dunque nettamente anch'esso a favore del "pool
di mani pulite".
Cosicché buona parte della classe politica italiana, diventata
ormai corrotta fino alle midolla, si trovò spazzata via
da un momento all'altro.
L'azione di quei magistrati ebbe vasta risonanza in tutto il
mondo, tanto che le giustizie di vari paesi ne seguirono l'esempio.
Fra l'altro in Francia certi magistrati se ne ispirarono, e venne
fuori che una serie di personaggi che ricoprivano le più
alte cariche dello Stato (compreso l'ex presidente della repubblica
François Mitterrand) erano immersi fino al collo in scandali
semplicemnte colossali... Con grande stupore dell'opinione pubblica
francese che, non avendo l'abitudine a cose del genere, aveva
tranquillamente avuto fiducia in quegli uomini e nelle istituzioni
che rappresentavano.
Certo, nella sua azione il "pool" di Milano fece anche
degli errori, tuttavia abbastanza comprensibili: con la valanga
di casi che erano venuti fuori, non era sempre facile distinguere
subito il grano dal loglio.
Ci furono poi anche, puntualmente, strumentalizzazioni politiche.
C'è sempre chi è pronto ad approfittare di certi
eventi per trarne vantaggi.
Vennero così a trovarsi paradossalmente l'uno contro l'altro
personaggi di rilievo che in realtà avevano lo stesso
scopo: far sì che lo Stato italiano diventasse un pò
più pulito e giusto.
Comunque, sembrava che la minaccia che certi personaggi dell'Ordine
avevano fatto pendere sui giornalisti italiani appartenesse ormai
a un deplorevole passato.
Invece, in realtà, non tutti quei personaggi erano stati
eliminati dai vertici: alcuni superstiti, che a suo tempo avevano
avuto cura di tirare il sasso ma nascondere la mano, erano ancora
lì.
Ed ecco che ci hanno riprovato. Stavolta con Feltri.
Che è comunque ricorso all'Ordine nazionale dove dovrebbe
respirarsi, oggi, aria migliore che in passato.
Affare da seguire.
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